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Può essere interessante rileggere la storia in chiave "rifiutologica", ossia analizzare cosa è stato fatto in passato per raccogliere e smaltirei rifiuti, chi se ne è occupato e cosa rimane oggi degli antichi sforzi di pulire le città… Per quanto la cosa possa sembrare paradossale, la larga parte delle conoscenze che oggi possediamo circa i popoli delle età della pietra, ci deriva dai resti, più o meno fossili, dei loro rifiuti. Lo studio delle popolazioni antiche, ci è possibile solo attraverso l'esame in dettaglio dei loro insediamenti, dei resti di cibo, di materiali litici (arnesi primitivi di pietra) e fittili (di terracotta) finalizzati al cibo o degli scarti di lavorazione delle pelli. Noi conosciamo le loro abitudini alimentari attraverso i resti di cibo bruciato, le ossa spolpate e tutto quanto rappresentava la loro pattumiera. |
Con il passare del tempo cambia la composizione dei rifiuti, che rimangono pochi e per lo più costituiti da resti organici, cenere ed escrementi. Tutti i materiali venivano ampiamente recuperati. I metalli erano così pochi che sarebbe stato follia buttarli e venivano continuamente riutilizzati. |
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| | I GRECI | | |
La pulizia delle città fu un problema che nacque con i greci: furono loro infatti a sentire per primi il bisogno di un servizio pubblico di pulizia urbana. Nella "Costituzione degli ateniesi" Aristotele, ad esempio, fissa i doveri di dieci sorveglianti della città incaricati di verificare il lavoro degli spazzini, per impedire loro di gettare le immondizie vicino alla città. Questi netturbini erano probabilmente schiavi e si incaricavano di tutte le opere di manutenzione di una città, che al suo fulgore contava ben 250.000 abitanti.
| | I ROMANI | | |
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I Romani dell’età classica hanno lasciato una massa sterminata di documenti inerenti le grandi opere pubbliche, ma pochissimo in merito alle attività quotidiane, che pure dovevano essere enormi, se si ricorda che la Roma imperiale contava oltre un milione di abitanti. I rifiuti, che non venivano direttamente riutilizzati, erano scaricati nella Cloaca Massima, il sistema di fognature che serviva la città. Per quanto riguarda gli scarichi più propriamente domestici si ricorda che questi venivano buttati semplicemente nelle strade, senza badare a chi potevano finire in testa, come ricorda il poeta Giovenale cui capitò un "inconveniente" del genere. In città mancò sempre un sistema di raccolta pubblica ed il servizio era affidato a privati. Giulio Cesare, nell’editto di Eraclea, arriva a bandire una gara d’appalto pubblico per la pulizia delle strade, con partizione delle spese a metà tra amministrazione pubblica e padroni di casa. In epoca imperiale vi erano quattro "curatores viarum", con funzioni di rango inferiore agli edili e incaricati di manutenzione e pulizia, due si occupavano della città interna e due della periferia. |
| | IMPERO D’ORIENTE | | |
Nel "Digesto", una dei codici di leggi redatti da Giustiniano (imperatore romano d’Oriente tra 527 e il 565), si legge : " ... nulla deve tenersi esposto dinanzi alle officine e finalmente non si permetta che sia gettato nelle strade sterco, cadaveri o pelli d'animali". Divieto questo che sarà ripreso negli statuti medioevali e che la dice lunga sulla qualità della pulizia delle strade e della città. In ogni caso i romani furono i primi creatori dei servizi pubblici di raccolta e smaltimento dei rifiuti, il loro modello urbano fu esportato in tutto l'impero e come tale funzionò fintanto che durò l'impero stesso. Giustiniano raccolse e ricodificò la legislazione romana e, con poche modifiche, la impose nell’Impero Romano d’Oriente che la mantenne, con alcune variazioni, fino alla sua caduta nel XV secolo. La legge romana passò così indenne attraverso le distruzioni medievali, e restò disponibile nell’epoca moderna, dove è divenuta la base delle legislazioni attuali nel mondo occidentale. |
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Con la calata dei barbari, e per almeno un millennio, la situazione in tutta Europa fu assolutamente disastrosa, mancando qualsiasi interesse verso la pulizia o anche solo per l’igiene urbana. Con quali costi sociali lo si può desumere dalla frequenza delle pestilenze e delle epidemie, soprattutto di tifo (i liquami finivano ad inquinare i pozzi per acqua) e di peste, veicolata dai topi. Nelle descrizioni dei lavori socialmente utili, quello assimilabile agli spazzini era allora ritenuto "infamante" o talora solo "umile" e solo i più miseri nella società vi erano preposti; lo svolgimento di uno di questi mestieri costituiva ragione per non poter essere ammesso a diventare chierico o a rivestire cariche pubbliche. |
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Le condizioni igieniche erano disastrose in Italia e ancora peggiori, se possibile, nel resto d'Europa con una coabitazione tra animali ed umani assolutamente deleteria. Solo verso la fine del Medioevo si cominciò a far strada l'idea che una certa igiene poteva essere utile e necessaria per ridurre gli effetti delle epidemie di peste e colera che allora spopolavano intere nazioni. D'altra parte le città cominciavano a crescere in misura tale da non permettere convivenza così a rischio ed era necessario mettere ordine o almeno emettere dei regolamenti per un regolare servizio di pulizia.
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Alla fine del 1800, all’inizio dell’ industrializzazione la società era assolutamente parca, almeno agli occhi di un consumatore contemporaneo. Gran parte dei rifiuti che una famiglia produceva era per lo più costituita da ceneri. Gli avanzi di cibo erano molto pochi e quei pochi venivano raccolti per essere riutilizzati come alimento per i maiali. I metalli erano pressoché inesistenti nei rifiuti: non c'erano ancora le lattine per le bibite, mentre le pentole rotte o gli altri oggetti domestici in metallo venivano vendute al "rottamaio", curiosa figura di recuperatore di metalli ante litteram, ancor oggi non del tutto scomparsa, che faceva la propria ed altrui fortuna appunto comperando a peso i rottami metallici. |
Il vetro era pressoché assente e così pure i tessuti, che venivano riutilizzati direttamente in vari modi, non ultimo facendone dei pannolini per bambini o delle fasce per calzari. I tessuti, fino ad almeno la seconda rivoluzione industriale, erano un bene prezioso: una famiglia prima di affrontare la spesa di un nuovo vestito ci pensava su parecchie volte e se lo faceva, vi erano comunque infinite resistenze ed attenzioni. La poca carta o il legno venivano bruciati e ovviamente non esisteva la plastica. Oggi la situazione è del tutto cambiata: siamo passati da una società frugale, semiagricola ad una post-industriale e consumista, che fa “dell'usa e getta” il proprio modello. Nessuno pensa a riparare le cose, che del resto sono fatte per durare poco ed essere rimpiazzate da altri modelli e questo in tutti i settori. Il risultato è stata una crescita smodata dei rifiuti, che sono diventati quasi il simbolo in negativo della ricchezza e del benessere. Sono cambiate anche le tipologie dei rifiuti: scomparsa quasi del tutto la cenere, sono comparsi massicciamente la plastica, la carta, il vetro e gli avanzi di cibo. Durante la crescita si è perso per strada il gusto dei riciclaggio, del recupero, del riutilizzo. |
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