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La selezione naturale e le rare mutazioni, che quando recano vantaggio si diffondono rapidamente di generazione in generazione,
non bastano però a spiegare tutta la variazione che osserviamo nel corso del tempo all’interno del patrimonio genetico di una popolazione.
C’è anche un altro fenomeno, che è interamente legato al caso: la deriva genetica, o, in inglese, drift.
Per capire di cosa si tratta, dobbiamo tenere presente che le
varianti proposte dalla mutazione per lo più non comportano differenze drammatiche,
per cui spesso la selezione naturale non ha alcuna influenza sul successo o sull’insuccesso di un certo tipo genetico.
La conseguenza è che le frequenze geniche, cioè le frequenze con cui geni diversi sono presenti all’interno di una certa popolazione, variano
di generazione in generazione semplicemente sotto l’effetto del caso.
Il genetista giapponese Motoo Kimura, fra i più profondi studiosi di questo fenomeno, lo ha definito come "la sopravvivenza del più fortunato". In un articolo pubblicato nel 1968, Kimura sostenne che l’evoluzione molecolare
(cioè l’evoluzione del DNA e delle proteine in diverse specie) è largamente dovuta al drift, e che di conseguenza la velocità dell’evoluzione molecolare nei confronti fra specie è pari alla frequenza di mutazione.
Il drift è definito come la fluttuazione casuale delle frequenze geniche di generazione in generazione. Per capire come agisce, prendiamo l’esempio di una popolazione che abita su un’isoletta del Pacifico, l’atollo di Pingelap,
in Micronesia. Secoli fa, vi è comparsa una mutazione che fa sì che l’occhio non abbia sensibilità ai colori, ma veda solo in bianco e nero. Si tratta di un difetto genetico, che non è privo di svantaggi,
perché dà forte miopia e altri disturbi della vista, ma questi non sono di entità tale da determinare un autentico svantaggio selettivo
(di notte, ad esempio, chi è colpito da questa acromatopsia –il termine medico per designare questo difetto– vede come chi ha una vista normale).
Di conseguenza, la frequenza di questo gene nella popolazione potrà aumentare o diminuire, cioè variare, in modo sostanzialmente casuale di generazione in generazione.
Facciamo l’ipotesi che cent’anni dopo che questa mutazione è comparsa vi siano 10 persone che la portano, su una popolazione complessiva di 200 persone: si tratterà del 5% dei casi.
Ora, poniamo che si verifichi una catastrofe, come un’onda di tsunami che spazza l’isola, o l’improvviso sbarco di razziatori di una popolazione ostile.
La catastrofe decima gli abitanti dell’isola: sopravvivono appena in 40, ma per una combinazione fortuita tutti e dieci i portatori della mutazione che dà cecità ai colori si sono salvati.
A questo punto rappresentano il 25% della popolazione. Passa qualche secolo e la mutazione, sempre variando di frequenza in maniera casuale al volgere delle generazioni, potrà essere divenuta più rara,
ma potrà anche essere divenuta molto importante e avere raggiunto frequenze ancora più elevate nella popolazione.
Questa ricostruzione, sia detto per inciso, è puramente dimostrativa: nei fatti, a Pingelap, la carestia che nel 1775 ha fatto seguito a un tifone ha lasciato solo 30 sopravvissuti,
uno dei quali colpito da questa forma di acromatopsia. Negli anni Sessanta, al tempo di questa rilevazione, la malattia (che è recessiva, per cui si manifesta solo negli omozigoti)
colpiva il 5% degli abitanti di Pingelap e aveva una frequenza genica del 23% circa (il conteggio delle frequenze geniche comprende anche gli eterozigoti portatori sani):
è una frequenza altissima per una malattia genetica.
In inglese, drift significa "deriva"; in italiano si parla di "deriva genetica"; è un termine preso dall’uso nautico e per la verità un po’ impreciso,
perché quando una corrente porta alla deriva una barca che non è più in grado di governarsi in modo autonomo, la barca procederà sempre in una stessa direzione,
quella della corrente, che di solito è costante, mentre la deriva genetica può portare la frequenza di un gene così ad aumentare come a diminuire di generazione in generazione,
sempre agendo in maniera del tutto casuale. Per questa ragione, Kimura ha proposto di parlare, con maggiore precisione, di deriva genetica casuale. In altre discipline,
per esempio in linguistica e in fisica, il termine "deriva" viene impiegato nel senso più comune, di tendenza sistematica.
L’azione della deriva genetica è particolarmente
sensibile quando i gruppi umani sono piccoli, per cui ha avuto effetti importanti soprattutto nei periodi più antichi della storia umana.
I gruppi che per primi hanno colonizzato le Americhe, traversando lo stretto di Bering (che ai tempi era la Terra di Beringia, ricoperta dai ghiacci), erano con ogni probabilità di dimensioni molto piccole.
È possibile che nessuno di loro avesse un gruppo sanguigno dei tipi A e B, perché questo gruppo è completamente assente nei loro discendenti di oggi, che sono tutti di gruppo 0
(con l’eccezione di alcune tribù canadesi che hanno un’alta percentuale di A, ma nessun B, forse semplicemente perché hanno raggiunto il continente in un tempo diverso,
o perché vi ha avuto luogo una mutazione A che è aumentata di frequenza nel tempo).
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cambiamento delle frequenze di un gene di generazione in generazione, per effetto della deriva genetica |
Se le cose sono andate così, nella scomparsa del gruppo 0 tra la gran maggioranza degli amerindi,
deve essersi trattato di un fatto del tutto fortuito, perché i gruppi A e B sono diffusi in tutto il mondo,
anche in quelle zone dell’Asia nordorientale da cui provenivano quei primissimi scopritori dell’America. Si parla di "effetto del fondatore",
perché il corredo genetico degli individui che colonizzano una regione si trasmette ai loro discendenti: questi possono aumentare di numero enormemente nel corso del tempo,
e tutti porteranno gli stessi caratteri dei capostipiti. È grazie a questo fenomeno che oggi possiamo ritrovare in Toscana le tracce genetiche degli Etruschi,
in Sicilia geni caratteristici dei Greci che la colonizzarono nel I millennio a.C., e fra gli abitanti delle zone montane fra Liguria,
Piemonte ed Emilia le tracce degli antichi Liguri.
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Scopriamo così l’importanza del caso nella
storia dell’evoluzione. È la seconda volta che lo vediamo intervenire direttamente: sia perché la mutazione è casuale,
sia perché è il caso a governare la fluttuazione delle frequenze dei geni che non subiscono direttamente l’effetto della selezione naturale, quindi della maggior parte dei geni.
Che il numero dei componenti di una popolazione sia elevato, come in una grande città, o minuscolo, come in un paese, la
deriva genetica è sempre in azione,
anche se in presenza di grandi numeri i suoi effetti si manifesta molto più lentamente. Siamo invece in grado di osservare bene la selezione naturale solo quando una mutazione porta vantaggi o svantaggi veramente importanti.
Per molti geni e in molti ambienti e popolazioni la selezione naturale è troppo debole per potere essere osservata quantitativamente, sui piccoli numeri di individui che di solito siamo in grado di studiare.
Può esserci comunque, anche se magari rivelerà i suoi effetti solo su tempi lunghi, o potrà balzare alla ribalta con prepotenza quando mutano le condizioni ambientali.
Come agisce la deriva genetica: in questa simulazione a computer, costruita con programma casuale,
vediamo la variazione delle frequenze di uno stesso gene (un carattere ereditario per gli occhi azzurri) in tre popolazioni di diversa dimensione:
25, 250, e 2500 individui (N = numero) |
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Possiamo prevedere bene le conseguenze della deriva,
proprio perché è una forza casuale. E interessante osservare come il caso, che dovrebbe essere per definizione imprevedibile, obbedisca a leggi precise.
Può sembrare strano, ma è così: esiste una legge che lo mostra, detta "dei grandi numeri", che si può applicare quando è possibile fare la media di molte misurazioni diverse.
Possiamo rendercene conto anche senza conoscere la matematica: se lanciamo in aria una moneta per dieci volte, potrà accadere che esca dieci volte testa o dieci volte croce.
Se però la lanciamo in aria cento volte, i numeri di teste e di croci che usciranno non saranno molto diversi fra loro. Se avessimo la pazienza di lanciarla in aria centomila volte e ripetessimo molte volte questo esperimento,
otterremmo testa o croce all’incirca fra le 49.600 e le 50.400 volte. In media, il caso è perfettamente prevedibile.
Ciò che chiamiamo caso, in realtà, non è altro che una
concatenazione di cause troppo complesse per potere essere misurate individualmente: così, quando tiro una moneta, conta la forza con cui la tiro,
il numero di volte che gira per aria, il fatto che tocchi o meno qualcosa mentre sta girando, il modo e il luogo in cui cade e così via. È impossibile misurare individualmente questi fattori,
ma è possibile misurare la media dei loro effetti se lanciamo la moneta un gran numero di volte.
L’animazione che segue, costruita con un programma casuale, mostra come una mutazione possa divenire prevalente e sostituire un’altra forma dello stesso gene, oppure possa scomparire completamente,
nell’arco di un numero maggiore o minore di generazioni, semplicemente sotto l’effetto della deriva genetica, cioè del caso.
tre fattori di evoluzione: il caso
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