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san (Sudafrica) |
L’impatto della cultura sull’evoluzione umana aumenta in importanza e in velocità nelle ultime decine di migliaia di anni.
L’invenzione dell’ago e del filo permette di cucirsi vestiti, che consentono all’uomo di raggiungere e popolare anche le zone più fredde del pianeta.
La grande abilità raggiunta nel cacciare ogni sorta di animali è testimoniata non solo dallo strumentario e dall’arte rupestre, ma anche dall’estinzione di numerose specie, certamente causata dall’attività umana,
dai grandi uccelli senz’ali della Nuova Guinea fino all’orso delle caverne europeo e forse allo stesso mammut.
Lo stile di vita rimane però quello praticato negli
ultimi milioni di anni: i gruppi umani vivono di caccia, pesca e raccolta
di tutto ciò che è commestibile.
Formano gruppi poco numerosi, che si spostano di frequente, senza costruire insediamenti stabili. Aumentano di numero molto lentamente:
si ritiene che in 100.000 anni la popolazione africana che ha colonizzato il mondo sia passata da qualche migliaio a qualche milione di individui.
carta del mondo: cacciatori-raccoglitori sopravvissuti fino al XX secolo
Nelle poche popolazioni di cacciatori-raccoglitori sopravvissute a tutt’oggi troviamo uno stile di vita che dev’essere sostanzialmente analogo a quello di questi antichi antenati.
Nel mondo contemporaneo, il maggiore di questi gruppi sono i pigmei che abitano la foresta tropicale africana, un ambiente in cui la vita sarebbe proibitiva per chiunque, ma cui loro sono perfettamente adattati,
per biologia e per cultura. Oggi ne rimangono circa 150.000, forse 200.000 individui, un numero in continua diminuzione, che si riduce mano a mano che viene abbattuta la foresta.
Fra i pigmei, come fra altre popolazioni di cacciatori–raccoglitori,
troviamo consuetudini che impediscono al gruppo di crescere troppo di numero
e creano una sostanziale stabilità demografica.
È questione di sopravvivenza, perché vivendo di caccia e raccolta
l’ambiente fornisce nutrimento a un numero limitato di persone,
per cui il cacciatore-raccoglitore non può vivere in gruppi molto
ampi e in pratica è sempre in cammino. I pigmei costruiscono in mezza
giornata un piccolo villaggio di capanne, o meglio un accampamento in una
minuscola radura nella foresta, lo abitano per qualche settimana o mese,
poi si spostano a qualche giornata di marcia e fanno campo in una nuova base,
per dedicarsi a un nuovo territorio di caccia e raccolta.
Gli spostamenti sono così molto frequenti. Nelle marce attraverso la foresta, gli uomini portano le armi e il bagaglio, le donne portano in braccio l’ultimo nato, mentre il figlio precedente cammina accanto ai genitori.
Non sarebbe possibile portare due bambini piccoli, e occorrono quattro o cinque anni perché il nuovo nato sia in grado di camminare bene, per cui i pigmei cercano di avere un figlio ogni quattro anni.
È un costume facilitato in parte dal fatto che l’allattamento si protrae per tre anni dopo la nascita del bambino: di conseguenza, la fertilità della donna diminuisce,
mentre il bambino sviluppa robuste difese immunitarie grazie al prolungato allattamento. Alla diminuita fertilità contribuisce un diffuso tabù sessuale che dura per tre anni dopo il parto.
Il risultato è che nell’arco della vita fertile di una donna, che all’equatore è più breve che nei climi temperati e dura circa vent’anni, una madre ha quattro o cinque figli,
due o tre dei quali muoiono prima di raggiungere l’età riproduttiva, per cui la popolazione globale rimane costante, o aumenta con estrema lentezza. A questa pratica di controllo delle nascite,
un fenomeno squisitamente culturale, contribuisce anche un’altra consuetudine, che è stata definita come "menopausa culturale". Si ritiene vergognoso che una donna abbia figli dopo che sua figlia ha avuto il suo primo figlio,
per cui al cambio di generazione la madre diventa nonna, non genera più figli suoi ma contribuisce a prendersi cura dei nuovi nati.
fonte: www.andaman.org |
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Gli abitanti di Sentinel Island, nelle isole Andamane, sono stati l’ultima popolazione dell’età della pietra ad entrare in contatto con la società moderna, nel 1991.
Come nella maggior parte delle Andamane, l’accesso all’isola è vietato, per consentire la sopravvivenza dei suoi abitanti.
Il semplice contatto con i germi patogeni portati da chi proviene dall’esterno può sterminare queste popolazioni, rimaste isolate per molti millenni.
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